“La sanità reggina in declino”: lettera di sconforto al Presidente Mattarella di una donna reggina

Gentile Direttore
In allegato (alla fine di questo testo) troverà la lettera/sfogo che in un momento di grande sconforto ho scritto rivolgendomi al presidente Mattarella, quale membro più autorevole della nostra Repubblica, ma che mi auguro ottenga l’attenzione dei politici che ci rappresentano, in primis il ministro della salute, e il presidente della Regione Calabria, così che possano riflettere sull’effetto che i tagli alla sanità stanno causando alla società.
Vuole essere una lettera denuncia per i comportamenti errati nella sanità pubblica, dove il paziente ormai è considerato un numero: perciò parlo di disumanizzazione della persona.
Vuole essere una lettera che risvegli le coscienze di chi occupa posti di assistenza alla persona, ad aver “cura” della persona: non solo ad eseguire istruzioni.
Allo stesso tempo di consolazione per coloro che nell’attesa di iniziare una cura, o veder eseguito un intervento chirurgico, hanno perso la persona cara.
Perché, se c’è una cosa con cui si fatica a fare i conti, è il senso di colpa.
I tanti “e se avessi fatto così”, “ e se avessi detto colà”, te li porti dietro come una zavorra.
La degenza di un famigliare si trasforma troppo spesso in lotta per la famiglia. Lotta per assistere, lotta per un posto letto, lotta per un consulto medico …. Ed i figli, mariti, mogli .. ne escono con mille domande e l’unica certezza che avrebbero dovuto agire diversamente.
Spero che le mie parole possano trovare spazio nelle pagine del suo giornale , e nel ringraziarla per l’attenzione dedicatami, le porgo
Distinti saluti
Spanti Carmela

Egregio Presidente Mattarella,
la bella stagione è alle porte e ho pensato che quest’anno sarebbe bello se Lei scegliesse Reggio Calabria come meta per le sue vacanze estive.
La storia narra che fu qui che un certo re Italo mise le basi per la futura Repubblica di cui Lei è il membro
più autorevole, colui che ci ricorda l’orgoglio e i doveri dell’essere italiani.
È una terra dai grandi contrasti: aspra quanto dolce, gentile quanto aggressiva, ricca quanto povera. Terra
amata eppure abbandonata.
Le assicuro ciò che è largamente risaputo: aria buona, cibo eccellente. La fata morgana è un fenomeno da
vedere, il museo (con i suoi bronzi) è assolutamente da visitare.
Certo, da buona ospite, devo farLe alcune raccomandazioni per assicurarLe una piacevole permanenza.
Prima fra tutte: stia in buona salute! Sà, la sanità calabrese non gode di buona salute, e quella Reggina, mi permetta, è ad un passo dal decesso.
Affermando ciò, non mi riferisco (solo) alle difficoltà causate dai tagli alla sanità, che si registrano ovunque
nella penisola; qui il discorso è più complicato, perché rasenta il limite massimo accettabile di mancanza di
rispetto per l’essere umano, dove c’è chi, approfittando delle manchevolezze dello Stato, si muove con disinvoltura nella melma, diventando essa stessa fango.
Vede, Signor Presidente, a Reggio Calabria, come in qualunque parte del mondo civilizzato, se stai male vai al pronto soccorso. Ed è questa la paura più grande del Reggino: non tanto lo star male quanto il dover andare al pronto soccorso.
Chiedere assistenza medica, un diritto sancito dalla Costituzione, può voler dire intraprendere un percorso in un campo minato. Fare il triage è l’inizio della Via Crucis; sì, uso proprio questa similitudine, perché è qui che spesso, troppo spesso, ha inizio un vero e proprio martirio.
Quando poi, finalmente, conquisti un posto al pronto soccorso, rimani confuso, smarrito. E’ un po’ come
essere catapultati in un mondo parallelo, dove non vali niente, non sei niente.
Quì regna la disorganizzazione più assoluta: la direzione avrebbe bisogno di essere rivista e il personale qualificato. Qui’ è frequente assistere alle lotte di parenti con i vigilantes e infermieri , per ottenere notizie del parente infermo, il più delle volte inabile o incapace a star solo.
Ti senti dire che c’è il personale a prendersene cura, salvo poi trovarli abbandonati, sporchi, assetati e
affamati; e di fronte alla richiesta di spiegazioni, sentirsi rispondere: “siamo pochi, che volete?” oppure
“questo non è compito mio”.
Capita, anche, che nessuno si accorga che manca l’ossigeno a un paziente con gravissima insufficienza
respiratoria; a chi spetta il compito di vigilare su questo?
Questo è solo un esempio che mi permetto di fare in modo esplicito, ma ne avrei altri se mi fosse concesso parlarne con chi volesse ascoltare.
Lotte quindi per poter prestare assistenza o semplicemente per star accanto al proprio caro. Perché la cosa più bella che puoi fare per chi vive la prova più grande, è esserci, per dargli un motivo per lottare; e per chi se ne sta andando, dargli la consolazione di non essere solo.
Vige la mancanza di comunicazione tra gli specialisti e ognuno cerca di sovrastare l’altro.
Quì il paziente, al pari di un pacco, viene rimbalzato da un reparto all’altro; rifiutato prima, e rimandato al
mittente poi. Cosi passano i giorni senza che il paziente (arrivato al PS in gravissime condizioni) riceva alcuna terapia; perché le terapie iniziano quando arrivi in reparto, e nulla importa se passano 5 o 6 o 7 giorni prima che si trovi un posto in reparto.

Quì la bestemmia è articolata dalla lingua di un professionista, così come le diagnosi urlate, in barba alla tanto declamata privacy. Quì non è concessa dignità né al moribondo né al parente.
E poi, reparti della morte. Luoghi in cui la sofferenza (e la morte) diventa una normalità inquietante. Dove il
personale, spesso sboccato e distratto, dimentica i propri doveri fondamentali e dove il gioco dello scarica barile è diventato la consuetudine.
Presidente, forse queste parole dovrei cancellarle se volessi che lei accettasse l’invito a visitare questa terra che, a detta di tutti, è cortese, genuina e buona. Ma questi rimangono solo aggettivi esterni alle mura
ospedaliere, dove il sofferente si scontra con l’indifferenza di un personale presuntuoso, che mostra il proprio poco saper fare e si rivela spontaneo solo nei modi prepotenti.
Dove, per qualche reparto gestito egregiamente, tanto da guadagnarsi i titoli di giornali, ce ne sono altri, dai
quali chi può scappa (ed io è di questi che voglio parlare oggi!) preferendo curarsi al Nord, magari.
È a conoscenza della massiccia emigrazione sanitaria al nord, signor Presidente?
Qui, dove il controllo è una chimera, le sabbie mobili della disumanizzazione annegano le coscienze.
E allora mi dica, signor Presidente, a che servono le tante parole sui diritti degli ammalati se poi, in questo
pantano, il sofferente è ridotto a un semplice numero, anzi, a un foglio di carta impilata in un faldone?
Dov’è la direzione sanitaria del GOM? Chi si interessa del controllo affinché tutto vada come sarebbe giusto
che andasse?
Egregio Presidente, perdoni la mia schiettezza, ma nonostante tutto ciò che mi circonda provi a convincermi
dell’inesistenza di Dio e dello Stato, io voglio ancora credere nell’intangibile, così come nel reale. Voglio
credere nel risveglio delle coscienze. Voglio credere che le cure siano un diritto fondamentale e non un
miraggio, legato alle conoscenze da sfruttare in caso di necessità.
Confido che la medicina, quando non può essere cura, possa almeno offrire sollievo dalla sofferenza. Perché
è inaccettabile che uno Stato si opponga alla morte assistita quando l’abbandono e il dolore disumanizzano la persona!
Signor Presidente, è un invito, forse anche una denuncia. È una voce sola, ma rappresenta tanti drammi familiari. Un grande dolore, simile a tanti altri. Mi chiedo: e se queste voci si incontrassero? E se riuscissero finalmente a trovare chi le ascolta davvero, senza pregiudizi e senza indifferenza?
E se ciò che viene classificato come il ciclo naturale della vita avesse un altro nome?
Perché, deve sapere, Signor Presidente, che alla sua età si è vecchi per ricevere una cura. Se è vero che un
giovane può morire, il vecchio non può certo vivere a lungo; e sembra che nel campo medico la vecchiaia
“soprattutto se hai una patologia pregressa”, sia al tempo stesso una discriminante per il paziente e
un’attenuante per chi manca nell’esercizio del proprio dovere. Questo è ciò che ho dedotto con amarezza nei miei 26 anni da caregiver e in quelli che sono stati, gli ultimi giorni di vita della mia mamma, mentre si
aspettava prima un posto in reparto, poi un posto letto, poi l’intervento, mai eseguito.
Come posso definire questo comportamento medico associato a disattenzioni, leggerezze e mancata
assistenza?
Non voglio essere io a coniare un termine adeguato, ma il mio augurio è che chi di dovere si voglia
finalmente interessare a porre fine a questi comportamenti oltraggiosi per il genere umano e che trovi un nome appropriato per tali atti, assolutamente in contrasto con la società evoluta che ci vantiamo di aver costruito nel 2025.
Non è il miracolo che si chiede, ma semplici gesti di umanità.

L’ammalato e la sua famiglia chiedono occhi che ti guardano, che non fissino solo il computer sul quale
scrivono.
Vogliono un dialogo sincero. Un saluto che spesso manca.
Per ogni persona sofferente, c’è una famiglia distrutta, sia esso giovane o vecchio. Chiedo uguale rispetto per tutti.
La vita è un diritto per tutti, così come deve essere uguale il diritto alle cure.
È l’orgoglio ad avermi spinta a scriverle, Presidente.
L’orgoglio di essere italiana e di credere nella giustizia.
E’ l’orgoglio di essere Reggina che mi spinge a rivendicare il sacrosanto diritto di essere curata nella mia città, con la medesima professionalità che riscontro a Roma, Bologna o Milano.
Vorrei che lei accettasse questo mio invito, Presidente, affinché la sua presenza servisse da monito per chi non attende ai propri doveri con la coscienza di un padre di famiglia e da stimolo per chi, invece, non senza fatica, crede nel proprio lavoro e lo esercita al meglio delle proprie possibilità ogni giorno.
Con rispetto,
Carmen Spanti