“Forza o’ capo!”, anni vissuti in Cilento

Amarcord, degli anni vissuti in Cilento, dell’amico e scrittore Nino Cervettini

L’angolo del diletto pallonaro – Per la serie:

“No, perché io cilentano lo sono stato davvero per un po’.”

Quando arrivai nel Cilento ancora non ero vicino ai trent’anni ma dopo qualche mese me ne sentivo cinquanta.
Erano le notti.
Dal momento in cui ero entrato in turno, in stazione, me ne capitavano un paio a settimana. Una tortura, lavorare fino alle sei del mattino dopo. Sempre che il cambio arrivasse puntuale e non gli capitasse qualche malanova. Praticamente il giorno appresso dormivo dappertutto.
Mangiavo e dormivo. Guardavo la tv e dormivo. Dormivo e sognavo di dormire.

Una mattina un collega se ne esce dicendo che nella squadra del paese manca una pedina fondamentale per il campionato che sta per cominciare.
«Chest’anne avimme na squatra fortissimi, peccate ca nun tenimme o’ libero!»
Io, curiosamente, quel giorno avevo voglia di scherzare.
«Ci sono io, sottoscritto, medesimo. I’ sto ‘ccà… tenite a ‘mmé!»
«O’ capo, e vuie site libero?»

«Libero? Certamente, liberissimo!»
Così la domenica dopo organizzano un’amichevole col Real Nonsocosa e mi chiedono di giocare.
«O’ capo, site libero? E vinite!»

Mi presento al campo con la mia faccia di tolla, la stanchezza arretrata di mesi, nessun allenamento da non so quanto e senza scarpe. L’allenatore mi vede.
«O’ capo, salutamme! Scarpe nun ne tenite?»
«Veramente… no. Solo da passeggio.»
«’ccà, pigliate cheste!»
Numero quarantacinque, mi scappano da tutte le parti. Quando mi fermo slitto ancora un po’ dentro. Perfette, andiamo a cominciare. Sai le risate!

La partita in effetti è divertente, almeno io mi diverto un sacco. Pure il pubblico sembra gradire molto.
«Forza, o’ capo!»
Finisce il primo tempo, due a zero per noi. Andiamo a prendere un tè caldo.
Il presidente mi aspetta negli spogliatoi per farmi firmare il cartellino.
«O’ capo, ma vuie che nummero tenite?»
«Il libero c’ha il sei ma io amo il cinque, mi piace di più.»
«No, che nummero de pìere. Co cheste nunn’è cosa!»
«Quarantatré, grazie.»