09/03/2020, una data che rimarrà negli annali e che i nostri figli e nipoti leggeranno nei manuali di storia contemporanea.
Da quel nove marzo sono cambiate tante cose, il modo con cui si intrattengono i rapporti interpersonali, le metodologie d’apprendimento e la visione che ognuno di noi ha della realtà.
Abbiamo affrontato un periodo di profonda privazione che ci ha allontanato dai ritmi frenetici e incalzanti della società.
Il versante occidentale del planisfero era ormai disabituato a esperienze di questo tipo tanto che nei mesi precedenti all’istituzione del lokdown nessuno avrebbe mai detto che la situazione si sarebbe involuta fino alle conseguenze che tutti oggi conosciamo. Grave errore, il piano del pensare e quello dell’essere sono strettamente connessi e il voler pensare che una cosa non accada non fa sì che la cosa in oggetto non accada veramente. Ci siamo ritrovati da un giorno all’altro a fronteggiare un nemico invisibile, impercettibile, sconosciuto, che ci ha trasportati in uno stato d’angoscia. L’angoscia, come ci spiegò Kierkegaard nel XIX secolo è uno stato emotivo in cui non si riconosce ciò da cui ci si deve proteggere.
Questo virus è così, non fa paura solamente per le conseguenze cliniche che comporta ma fa paura per i moti emotivi che scatena. Il virus può essere trasmesso da chiunque a chiunque tanto da farci diffidare dei nostri affetti più cari. Per arginarlo ci siamo isolati dalla società, violando quell’istinto naturale che ci porta a essere animali razionali ma anche animali sociali. Tutti abbiamo sacrificato una grossa fetta della nostra esistenza e l’abbiamo fatto consapevolmente e volontariamente, chi per paura, chi per senso civico, chi perché obbligato da un diktat governativo. La realtà è che questo arco temporale in cui siamo stati catapultati ci è servito per compiere un’accurata introspezione, per acquisire nuove consapevolezze su noi stessi e per scernere definitivamente ciò di cui abbiamo bisogno da ciò che è superfluo. Le amicizie, gli amori, le compagnie sono stati i grandi assenti della quarantena e il contatto umanò sarà il grande assente del futuro più prossimo che ci attende.
Approdiamo a una nuova fase di questo sventurato tempo, magari più consapevoli, più grandi, capaci di nuove cose e rimane ferma la convinzione nel mio inconscio che tutto andrà bene…Andrà bene perché siamo un popolo forte. Andrà bene perché siamo in grado di cadere e di rialzarci. Andrà bene perché il senso civico degli italiani e dei calabresi non ha nulla a che invidiare a quello degli abitanti di Tokyo o di Stoccolma. Andrà bene perché siamo un popolo che ha l’arte dei suoi avi dentro e che dai suoi avi eredita la cultura che ha costruito il mondo moderno. Andrà bene perché non ci siamo mai arresi e andrà tutto bene perché non lo faremo nemmeno ora.
Francesco Scopelliti